sabato 29 maggio 2010

Sulla carne che noi mangiamo (I parte)


Una fettina di vitello, bella tenera, sa mangia solo quella…

Frase udita più volte da macellaio, sintoma di una generazione opulenta che ha perso oramai il contatto sia colla natura che col reale istinto-alimentazione.

Quella fettina tenera-tenera, pallida, morbida non è presente in natura, per crearla bisogna (non si può dire allevare) mantenere l’animale in condizioni estremamente finte.

Al terzo-quarto giorno di vita, strappati alle madri, i vitelli sono collocati ognuno in un box largo 40 cm, lungo non più di un metro e mezzo, legati con una catena al collo per impedire ogni movimento (la catena potrà esser tolta quando saranno cresciuti tanto da occupare tutto il ristretto spazio del box). Essi non vedranno mai né luce solare, né paglia, né fieno, poiché mangiarne potrebbe rovinare il tenue colorito delle carni.
Nutriti con budini semiliquidi iperproteici che causano un’inestinguibile arsura (l'acqua è loro assolutamente negata, per indurli a mangiare sempre più budino) e un’inarrestabile dissenteria per spingerli all'anemia al fine di sbiancare le carni, disordini digestivi e ulcere sono frequenti; tali cuccioli divengono vittime di grave immunodeficienza con conseguenti infezioni e necessità di cronica assunzione di cicli antibiotici, dopo tredici-quindici settimane si portano al macello.
Ecco la nostra tenera fettina…

Eh ma che scelta di carne, hai visto? Ci tornerò sempre..”

La lussureggiante esposizioni di tagli che alcuni negozi espongono non è un fenomeno locale, bisogna moltiplicarlo per le città del mondo occidentale.

Allora sorge spontanea una domanda, ma da dove può saltare fuori tutta questa carne?
I fast food, ma da dove trovano la carne per i loro hamburger?

Semplice: da allevamenti intensivi.

Gli allevamenti intensivi sono nati negli anni Sessanta, per rispondere alla richiesta sempre più pressante di carne.
Si tratta di capannoni industriali “feedlots” in cui sono rinchiusi sino a 100.000 capi di bestiame privati di libertà di movimento, della luce del sole, rinchiusi in gabbie, con solo la testa libera per alimentarsi.

Tale alta concentrazione di animali e il regime alimentare forzato aumentano lo stress, le malattie e la pericolosità microbica, quindi sono la causa principale della diffusione a raggiera dei veleni.
La "modernizzazione" zootecnica ha riempito i cibi di residui di stimolatori dell'appetito, antibiotici, stimolatori della crescita, larvicidi e ormoni artificiali.

In America i trattamenti con ormoni sono non solamente ammessi, ma incoraggiati.
L’Europa vieta l’importazione di carne americana; ma cosa succede da noi?

In Italia la legge: D.lgs. 27/1/1992 n.118 vieta la somministrazione di ormoni come sostanza additiva alla dieta o stimolante la crescita, ma ne autorizza l'uso a scopo terapeutico e nel periodo successivo al parto, cioè: volendo, sempre. Inoltre, i valori residuali di ormoni ritenuti innocui fino a dieci anni fa, sono oggi, grazie a dati scientifici più raffinati, considerati rischiosi per i consumatori, specialmente per i bambini in età pre-puberale.

Gli antibiotici che in USA hanno un uso incondizionato sono sulla carta limitati in Italia a soli scopi terapeutuci, ma la sproporzione tra le ricette "ufficiali" e il numero di animali: 5 per 100 rende praticamente certo che tali farmaci vengano acquistati sul mercato nero per non doverne segnalare l'uso.
Una bella dose di diuretico data prima della macellazione ne oscura la presenza.

Ma, di contro l'OMS ha ripetutamente messo sotto inchiesta i residui di certi farmaci veterinari ritrovati in alte dosi in campioni italiani francesi e di altre nazioni UE come clorotetracicline, tetracicline, cipermetrina, neomicina, ossitetraciclina, spiramicina, danofloxacina, streptomicina. Tutti antibiotici dannosi all'organismo in alte dosi e capaci di indurre forti resistenza batteriche.
Proprio lo sviluppo di pericolosi batteri resistenti a tutti i trattamenti farmacologici rende ragione della diffusione di malattie infettive che anche nei migliori ospedali sono diffilmante curabili.

A tale motivo segnalo un modello di simulazione dinamica realizzato dal Dipartimento di farmacologia, microbiologia e igiene alimentare di scienze veterinarie di Oslo dal quale emrge che anche qualora l'importazione di carne di vitello cessasse, per oltre dieci anni continuerebbero a crescere le infezioni da Taenia saginata nei vitelli domestici, e di conseguenza gli episodi epidemici di infezioni negli uomini.
Ancora, è stato isolato in campioni di carne bovina in Malesia un Enterococcus Faecium, resistente persino alla vancomicina.

Ma non è tutto cosa mangiano le povere bestie?
Un bel carico di fieno?

Certo...

La dieta dei bovini è stata completamente sconvolta: il mais ha sostituito il più costoso fieno.
Questo però fermenta nel colon e favorisce la proliferazione di batteri e causa dissenterie gravi.

Ma come se non bastasse sono aggiunte scarti dell'industria di trasformazione, residui della lavorazione dello zucchero, dell'olio, paglia trattata con ammoniaca, olii esausti di motori, addirittura i reflui delle distillerie di whisky e di gin; in Francia finivano nei mangimi le acque nere, bollite, delle puliture dei macelli e delle stalle e con l'aggiunta di con scarti della spremitura a caldo dei resti dei macelli.
Agiungiamo ancora che nelle città prive d'inceneritore, diventano "farine per animali” le carcasse di animali raccolti dalla Nettezza Urbana (cani e gatti randagi, topi, ratti e pantegane).
Anche gli animali portati dal proprio veterinario per la "morte dolce" finiscono in questa catena.
Addirittura, potrebbero essere reimmesse (con o senza il consenso dell'ASL) nel mercato dei sottoprodotti (art.5 c.1 del D.lgs suddetto) le carni e i derivati sottoposti a trattamenti vietati.
Persino nelle mangiatoie si annidano veleni: uno studio condotto in Europa ha rivelato che una mangiatoia su tre era contaminata, trovando muffa e scoria di pesticidei ed antibiotici.

Fonti principali
http://www.mednat.org/alimentazione/allevamenti_incivili_bse.htm

http://www.adnkronos.com/IGN/Sostenibilita/Risorse/Fao-mandrie-e-allevamenti-responsabili-del-4-delle-emissioni-di-gas-serra_277924748.html

http://magazine.quotidianonet.ilsole24ore.com/ecquo/mariafalvo/2010/03/02/allevamenti-intensivi-la-verita-sui-rischi-sanitari

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