venerdì 24 dicembre 2010

Dove dirigersi?

La volontà degli dei era interpretata dai sacerdoti, che avevano varie specialità: alcuni erano esperti nell'osservare i lampi, altri nel volo degli uccelli, altri ancora nell'osservare le viscere degli animali sacrificati.

Ora la sede della vita era il fegato e solo chi conosceva la sua esatta morfologia poteva distinguerne tutti gli aspetti normali e non e quindi poterne apprezzare i sacri messaggi, che il viscere estratto dall'animale immolato portave in sè.

Messaggi che venivano inviati non per evitare l'accadersi degli eventi, ma solo per poterne essere a conoscenza.

Oggi, moderni e sazi intellettualmente ancor di più abbiamo bisogno di conoscere il fururo, pavidi piccoli essereri sedotti dal benessere fatuo della società dei beni, spaventati per un incerto futuro che ci privi dell'inutile. E così acquistiamo quello che persumiamo essere il futuro, dimentichi che la conoscenza di ciò che è nella mente degl dei può essere ottenuta solamente con profonda fede e sacrificio.

martedì 21 dicembre 2010

Deus Sol Invictus


Sol Invictus ("Sole invitto") o, per esteso, Deus Sol Invictus ("Dio Sole invitto") era un appellativo religioso usato per tre diverse divinità nel tardo Impero romano, Eliogabalo, Mitra,e Sol.
Al contrario del precedente culto agreste di Sol Indiges ("Sole nativo" o "Sole invocato"), il titolo Deus Sol Invictus fu formato per analogia col titolo imperiale Invictus (Invitto).

Il culto del Sol Invictus era molto diffuso in tutto l'impero romano, ad esempio la celebrazioni del rito della nascita del Sole in Siria ed Egitto erano di grande solennità e prevedevano che i celebranti ritiratisi in appositi santuari ne uscissero a mezzanotte, annunciando che la Terra Vergine aveva partorito il Sole, raffigurato come un infante.

Il titolo acquisì importanza per la prima volta con l'imperatore Eliogabalo, che tentò prematuramente di imporre il culto di Elagabalus Sol Invictus, il Dio-Bolide solare della sua città nativa, Emesa, in Siria.
Eliogabalo fece costruire un tempio dedicato alla nuova divinità sul Palatino. Con la morte violenta dell'imperatore nel 222 questo culto cessò di essere coltivato a Roma, anche se gli imperatori continuarono ad essere ritratti sulle monete con l'iconografia della corona radiata solare per quasi un secolo.
In seconda istanza, il titolo di Invictus era attribuito a Mitra nelle iscrizioni private dei dedicanti e dei devoti.
Il termine compare anche associato al dio Marte.

Nel 272 Aureliano riunì l’impero sconfiggendo la principale nemica: la Regina Zenobia del Regno di Palmira. La vittoria avvenne anche grazie all'aiuto provvidenziale della città stato di Emesa(il cui esercito giunse nel momento in cui le milizie romane si stavano sbandando).
L'appoggio dei sacerdoti di Emesa, cultori del dio Sol Invictus, bendispose l'imperatore che, all'inizio della battaglia decisiva, disse di aver avuto la visione benaugurante del dio Sole di Emesa.
In seguito, nel 274, Aureliano trasferì a Roma i sacerdoti del dio Sol Invictus e ufficializzò il culto solare di Emesa, edificando un tempio sulle pendici del Quirinale e creando un nuovo corpo di sacerdoti (pontifex solis invicti). Comunque, al di là dei motivi di gratitudine personale, l'adozione del culto del Sol Invictus fu vista da Aureliano come un forte elemento di coesione dato che, in varie forme, il culto del Sole era presente in tutte le regioni dell'impero.
Sebbene il Sol Invictus di Aureliano non sia ufficialmente identificato con Mitra, richiama molte caratteristiche del mitraismo, compresa l'iconografia del dio rappresentato come un giovane senza barba.
Aureliano consacrò il tempio del Sol Invictus il 25 dicembre 274, in una festa chiamata Dies Natalis Solis Invicti, "Giorno di nascita del Sole Invitto", facendo del dio-sole la principale divinità del suo impero ed indossando egli stesso una corona a raggi. La festa del dies natalis Solis Invicti divenne via via sempre più importante in quanto si innestava, concludendola, sulla festa romana più antica, i Saturnali.

Costantino fu Pontifex Maximus del culto del Sole Invitto.
Prima del suo battesimo sul letto di morte, l'imperatore Costantino raffigurò il Sol Invicuts sulla sua monetazione ufficiale, con l'iscrizione SOLI INVICTO COMITI, "Al compagno Sole Invitto", definendo quindi il dio come un compagno dell'imperatore.
Con un decreto del 7 marzo 321 Costantino definì il giorno del Sole (die solis) come quello assegnato al riposo:

“Nel venerabile giorno del Sole, si riposino i magistrati e gli abitanti delle città, e si lascino chiusi tutti i negozi. Nelle campagne, però, la gente sia libera legalmente di continuare il proprio lavoro, perché spesso capita che non si possa rimandare la mietitura del grano o la semina delle vigne;sia così, per timore che negando il momento giusto per tali lavori, vada perduto il momento opportuno, stabilito dal cielo. Codice Giustiniano 3.12.2”

Nel 330 l'imperatore decretò per la prima volta il festeggiamento cristiano della natività di Gesù che fu fatta coincidere con la festività pagana della nascita di Sol Invictus. Il "Natale Invitto" divenne il Natale Cristiano. [1]
Nel 337 papa Giulio I ufficializzò la data del Natale da parte della allora Chiesa Cristiana (Cattolica e Copta).

La religione del Sol Invictus continuò ad essere una "spina nel fianco" per i cristiani fino al celebre editto di Tessalonica di Teodosio I del 27 febbraio 380, in cui l'imperatore stabiliva che l'unica religione di stato era il Cristianesimo di Nicea, bandendo di fatto ogni altra.
Gli stessi culti cristiani ben presto si confusero con i culti solari:

“Molti ritengono che il Dio cristiano sia il Sole perché è un fatto noto che noi preghiamo rivolti verso il Sole sorgente e che nel Giorno del Sole ci diamo alla gioia.” Tertulliano, Ad nationes, apologeticum, de testimonio animae.

“Nel giorno detto del Sole si radunano in uno stesso luogo tutti coloro che abitano nelle città o in campagna, si leggono le memorie degli apostoli o le scritture dei profeti, per quanto il tempo lo consenta; poi, quando il lettore ha terminato, il presidente istruisce a parole ed esorta all'imitazione di quei buoni esempi. Poi ci alziamo tutti e preghiamo e, come detto poco prima, quando le preghiere hanno termine, viene portato pane, vino e acqua, e il presidente offre preghiere e ringraziamenti, secondo la sua capacità, e il popolo da il suo assenso, dicendo Amen.
Poi viene la distribuzione e la partecipazione a ciò che è stato dato con azioni di grazie, e a coloro che sono assenti viene portata una parte dai diaconi.
Coloro che possono, e vogliono, danno quanto ritengono possa servire: la colletta è depositata al presidente, che la usa per gli orfani e le vedove e per quelli che, per malattia o altre cause, sono in necessità, e per quelli che sono in catene e per gli stranieri che abitano presso di noi, in breve per tutti quelli che ne hanno bisogno.” Giustino martire, II secolo d.C.

Il Cristianesimo adottò alcuni dei tratti del culto di Sol Invictus, come è evidente nei primi esempi di iconografia Cristiana, raffiguranti Cristo con gli attributi solari come la corona radiata o, in alcuni casi, il carro solare.
Sol Invicuts è stato adottato dalla Chiesa di Roma come una prova dell'identità tra Cristo e Apollo-Helios in un mausoleo scoperto sotto la Basilica di San Pietro e datato circa al 250[2].

Dall'inizio del III secolo, "Sole della Giustizia" era il titolo attribuito a Cristo[3].
Tale titolo in realtà deriva dall'Antico Testamento, capitolo III del libro di Malachia: “Per voi invece, cultori del mio nome, sorgerà il sole di giustizia con raggi benefici e voi uscirete saltellanti come vitelli di stalla”.

Costantino designò la domenica, in precedenza dedicato al sole, come il "Giorno del Signore[5] e giorno del riposo, anziché il sabato, il Sabbath ebreo.
Ancora centotrenta anni dopo la decisione di Costantino, nel 460, il papa Leone I sconsolato scriveva:

“È così tanto stimata questa religione del Sole che alcuni cristiani, prima di entrare nella Basilica di San Pietro in Vaticano, dopo aver salito la scalinata, si volgono verso il Sole e piegando la testa si inchinano in onore dell’astro fulgente. Siamo angosciati e ci addoloriamo molto per questo fatto che viene ripetuto per mentalità pagana. I cristiani devono astenersi da ogni apparenza di ossequio a questo culto degli dei.”
Papa Leone I, 7° sermone tenuto nel Natale del 460 – XXVII-4

FONTI
1. Treccani Enciclopedia Italiana di Scienze, Lettere ed Arti, voce
Natale
2. "Constantine the Great" , New Catholic Encyclopedia, 1967.
3. ibid "Christmas".
4. da Christianity and Paganism in the Fourth to Eighth Centuries,
Ramsay MacMullen. Yale, 1997, p. 155
5. Treccani Enciclopedia Italiana di Scienze, Lettere ed Arti, voce
Natale

Luna fecondità e rituali associati


Profittando della simbolica data odierna del Solstizio d'Inverno un richiamo del mondo arcaico che non dovremmo mai dimenticare.


Quando il Sole tramonta, la Luna richiama l'attenzione con il suo candore e le sue macchie.
La Luna riflette verso di noi la luce del Sole, ma la riflette in misura diversa a seconda che la regione colpita sia montagnosa o piatta. Si potrebbe pensare che le zone piatte riflettano più intensamente, quasi fossero degli specchi, ma non è così: le zone piatte appaiono simili a macchie, sono i “mari” di Galileo, e sono costituiti da rocce laviche scure, che assorbono la maggior parte della luce solare, riflettendone soltanto una minima porzione (il 7%). Le regioni montagnose, invece, hanno una composizione petrografica diversa, più chiara, due o tre volte più riflettente.
Nella cultura occidentale ciò che ci porta più indietro nel tempo alla scoperta della Luna è quasi certamente il nome stesso che diamo al nostro satellite. La parola Luna deriva dall'antichissima radice indoeuropea “leuk”, che significa “splendere” ed è passata nel greco “leucos”, lucente, chiaro, bianco (pensiamo ai leucociti, i globuli bianchi), e poi nel latino “lux”, “luceo”, “lumen”. Luna sta quindi per “la luminosa”.
A noi però la parola giunge attraverso la mediazione della mitologia.
A Efeso il satellite, divinizzato come dea della fecondità dotata di cento mammelle, veniva adorata con il nome di Diana o di Lucina. Dalla sincope di Lucina è derivato il nostro Luna. Analoga l'origine del nome greco della Luna: Selene. Deriva da “selas”, che significa splendore, fiamma.
Uno dei fenomeni più evidenti che riguarda la Luna sono le fasi lunari, le quali sono dovute alle varie posizioni che il nostro satellite assume rispetto alla Terra e rispetto al Sole; le fasi lunari si succedono ogni mese via-via che la Luna orbita intorno alla Terra; vediamo così differenti percentuali del suo lato illuminato. Siccome il corpo era evidentemente sempre lo stesso, alcuni popoli spiegarono i vari mutamenti (Luna piena, falce di Luna, Luna oscura) con volti diversi della stessa divinità. Ad esempio nell'antica Grecia in cui Ecate era rappresentata con tre teste, una di leone, una di cavallo ed infine una di cane.
La Dea Madre era la divinità della maternità e dell’amore; d’origine orientale (Mesopotamia) essa era venerata in tutto il bacino mediterraneo, identificata forse con la Luna, considerata simbolo della fertilità e della rigenerazione della vita, questa Dea rappresentava la logica espressione spirituale di un popolo ancorato ad una struttura sociale di tipo matriarcale, la cui sopravvivenza era legata ai cicli dell’anno agricolo.
La Luna è stata al centro di ogni mitologia fin dagli albori del tempo e la sua importanza è legata soprattutto ai mutamenti periodici del suo aspetto.
L'azione della Luna sul mondo animale è dimostrata soprattutto nel caso di alcune specie di animali marini la cui maturità sessuale risulta collegata alle maree e alla luce lunare.
Nel Ceratocephale osawai, un nereide comune nei mari del Giappone, la fecondazione avviene di solito durante il plenilunio ed il novilunio. Le uova di un anellide, l'Amphitrite ornata, maturano durante il plenilunio di giugno, luglio e agosto. La Convoluta roscoffensis si feconda durante le maree del novilunio di primavera.

Associato alla Dea Madre, era, talora, rappresentato anche il suo omologo, il Dio maschio identificato con il toro, raffigurato semplicemente da un menhir la cui sommità appare leggermente appuntita e segnata da una scanalatura, a simboleggiare il fallo. Intorno a queste pietre si crede si riunissero le donne per compiere rituali, che avevano lo scopo di propiziare la fecondità.
Le pietre infitte, recanti segni femminili o maschili si trovano spesso accoppiate si accompagnano a monumenti religiosi o funerari; la coppia divina, infatti, doveva caratterizzare la sacralità del luogo, ergendosi quale simbolo di custodia e protezione.
L’idea era semplice, nell’immaginario popolare la pietra era considerata il priapos primordiale, l’elemento fallico maschile che, infisso nella terra, la rende fertile. In una visione microcosmica il primitivo immagina che, come il dio maschile rende fertile la terra attraverso la roccia, lo stesso poteva accadere per le donne del paese che, strisciando sopra questi sacri massi, si assicuravano la fertilità e la capacità procreativa. Esempi di questo tipo li troviamo a Plodio, in provincia di Savona e Borzoli, nei pressi di Genova ove ancora oggi si parla di antiche pratiche legate alla “Pria Scugiente”, una roccia di serpentino, conosciuta anche con il nome di “pietra lubraca”, ove le donne solevano strisciare per garantirsi un buon parto.

Tra i siti legati ai rituali di fertilità ricordiamo il circolo litico della “Grotta delle Fate” (Finale Ligure) da dove, attraverso una scala scavata nella roccia, si raggiunge questo sacro recinto proprio posto sulla verticale dell’antro. Il circolo litico, purtroppo oramai perso, poteva così essere utilizzato per rituali di fertilità, un enorme “cerchio”, disegnato da pietre infisse nel terreno, e un corridoio che ricorderebbe le vie della fertilità per raggiungere il circolare utero della dea, reso verosimilmente fertile da un elemento fallico centrale, verosimilmente un menhir.
Troviamo così traccia nel folklore locale di quella tradizione italiana delle “pocce lattaie” o “latte di grotta”, il liquido lattescente che, a causa dell’alto contenuto di carbonato di calcio, è estremamente simile al siero mammario femminile. Se dunque l’acqua macrocosmicamente è il sacro liquido della Mater che garantisce la fertilità, diventa di estrema importanza raccoglierla in piccole conche rituali che potremmo definire “Coppelle”. In moltissime aree neolitiche liguri sono state così ritrovate pietre con strane incisioni cuppelliformi o a forma di “U”, una rappresentazione schematica del toro, animale totemico della dea, come sul Promontorio del Caprione, sul monte Beigua o a Monte Matto. Su quest’ultimo moltissimi sono stati i ritrovamenti di massi a forma di losanga, geometria non casuale ma messa proprio in relazione all’organo genitale femminile, con sopra incise proprio delle piccole coppe, che sottolineerebbero l’idea esposta.Se così la pietra rappresenta la figura femminile, l’incisione centrale è simbolo di prosperità, più essa è ricca dell’acqua che in essa si accumula e più è sacra e la coppella posta al centro della roccia indicherebbe così la “gravidanza” della mater. Il Mito ha origine, trasformazione ed adeguamento ai tempi ed alle regole religiose attuali, ma contiene e resta sempre un segno della natura pagana iniziale.
Ricordi di riti per la fertilità con espilicito richiamo all’accoppiamento o agli organi genitali esistono ovunque. Riti che, poi, il cristianesimo non ha abolito, ma modificata e castigata, con l’attribuzione di capacità miracolose a quei ceri simbolici e imponenti, ai quali gli antichi avevano attribuito capacità eccezionali di fertilizzazione e fecondazione della Madre Terra. Appare superfluo evidenziare che queste feste votive maturarono in seno a quei ceti sociali agricoli, che più degli altri hanno “incorporato” e mantenuto le tradizioni arcaiche, nei quali il “fallo” non era visto soltanto come organo di riproduzione, ma soprattutto come simbolo di fecondità e di fertilità della Gran Madre Terra e costituiva il migliore “ex voto” da promettere e donare alla divinità per “grazia ricevuta”. Fu così che l’ostentazione di quell’organo umano, che evidentemente appariva osceno soltanto alla religione cristiana, si trasformò in giglio, in cero, in candeliere, etc, cercando attraverso la diversità, di sfuggire alla persecuzione del cristianesimo.

La Storia di Babbo Natale

San Nicola di Mira fu un vescovo nella seconda metà del IV secolo della città di Myra (antico nome di Demre nella Licia (l'attuale Turchia). È il patrono dei bambini, ragazzi e ragazze, scolari, farmacisti, mercanti, naviganti, pescatori, profumieri, bottai, nonché delle vittime di errori giudiziari e degli avvocati; nel mondo è conosciuto prevalentemente con il nome di Santa Claus o Santa Klaus; in Italia è conosciuto anche come San Nicola di Bari, dal nome della città che ne custodisce le spoglie a partire dall'XI secolo.

San Nicola è uno dei santi più popolari del cristianesimo e protagonista di molte leggende riguardanti miracoli a favore di bisognosi.

Il suo emblema è il bastone pastorale e tre sacchetti di monete (tre palle d'oro). Il culto fu portato a New York dai coloni olandesi (è infatti il protettore della città di Amsterdam). Il santo è oggi patrono, oltre che dei marinai, anche dei commercianti e per questo la sua effige figura nello stemma della Camera di Commercio di Bari. Secondo la tradizione il 5 dicembre portava i doni (la strenna) ai bambini buoni.

In alcuni paesi dell'Europa orientale, la tradizione vuole che porti una verga ai bambini non meritevoli, con cui i genitori possano punirli. A Bari il culto è molto sentito, e la prima domenica di Maggio si festeggia il Santo con una lunga festa che ripercorre la traslazione delle sue ossa nella città.
Viene festeggiato il 6 dicembre.
Tradizionalmente viene rappresentato vestito da vescovo con mitra e pastorale.

L'attuale rappresentazione in abito rosso bordato di bianco origina dal poema "A Visit from St. Nicholas" del 1821
di Clement C. Moore, che lo descrisse come un signore allegro e paffutello, contribuendo alla diffusione della figura laicizzata di Babbo Natale.
Tutte le versioni del Babbo Natale moderno derivano dallo stesso personaggio storico: il vescovo San Nicola di Mira . La leggenda di San Nicola è alla base della grande festa olandese di Sinterklaas (il compleanno del Santo), che a sua volta ha dato origine al mito e al nome di Santa Claus nelle sue diverse varianti.
Babbo Natale è un elemento importante della tradizione natalizia in tutto il mondo occidentale.
In molte tradizioni della Chiesa ortodossa, Babbo Natale è identificato con San Basilio e porta i doni ai bambini il giorno di Capodanno, in cui si celebra la sua festa.

Le rappresentazioni di Babbo Natale sono anche strettamente legate al personaggio russo di Nonno Gelo(Ded Moroz), che porta i regali ai bambini ed è vestito con una giacca rossa, stivali di pelliccia e porta una lunga barba bianca.
Una gran parte della iconografia di Santa Claus sembra derivare dalla figura di Ded Moroz, soprattutto attraverso il suo equivalente tedesco Väterchen Frost.

Il personaggio che attualmente è noto come Santa Claus nel mondo anglosassone riunisce le rappresentazioni premoderne del portatore di doni, di ispirazione religiosa o popolare con un Babbo Natale britannico preesistente. Quest'ultimo risale almeno al XVII secolo, e ne sono rimaste delle illustrazioni d'epoca in cui è rappresentato come un signore barbuto e corpulenti, vestito di un mantello verde lungo fino ai piedi e ornato di pelliccia. Rappresentava lo spirito della bontà del Natale, e si trova nel Canto di Natale di Charles Dickens sotto il nome di Spettro del Natale presente.

Ad esempio, nella Storia di New York di Washington Irving si trova un Sinterklaas americanizzato in Santa Claus ma privo degli attributi vescovili, rappresentato prima come corpulento marinaio olandese avvolto in un mantello verde e con la pipa in bocca. Il libro di Irving era una satira della comunità olandese di New York, e molti caratteri del ritratto sono dovuti alla sua invenzione umoristica.

A quanto pare, l'aspetto moderno di Santa Claus ha assunto la forma definitiva con la pubblicazione della poesia Una visita di San Nicola, ora più nota con il titolo La notte di Natale (The Night Before Christmas), avvenuta sul giornale Sentinel della città di Troy. L'autore del racconto è tradizionalmente ritenuto Clement Clarke Moore, anche se l'attribuzione è controversa.
Santa Claus vi viene descritto come un signore un po' tarchiato con otto renne, che vengono nominate per la prima volta in questa versione.

Le immagini di Santa Claus si sono ulteriormente fissate nell'immaginario collettivo grazie al suo uso nelle pubblicità natalizie della Coca-Cola, realizzate da Haddon Sundblom. La popolarità di tale immagine ha fatto sì che si diffondessero varie leggende urbane che attribuivano alla Coca-Cola l'invenzione stessa di Santa Claus.

domenica 12 dicembre 2010

un pensiero sulla morte di Gentile


Gentile non era fascista, il suo pensiero si era concluso prima che nascesse il fascismo: l’arco della sua teoria è già completato coll'esperienza della prima guerra mondiale.

La sua formazione politica fu d''ispirazione risorgimentale, percorsa da un’idea della politica come religione civile e dello Stato come valore etico super partes, con le pericolose controindicazioni assolutiste, divenute note.

La sua riforma della scuola non fu la più fascista delle riforme, lo disse personalmente Mussolini, ma una grande riforma umanistica di idealismo didattico, percorsa da amor patrio. La sua “Enciclopedia” fu aperta a tutti gli intellettuali anche quelli antifascisti.

La sua adesione al fascismo fu una conseguenza, si porebbe dire; l'archetipo dello Stato nel fascismo ebbe in lui il teorico più forte; come la filosofia della guerra ebbe in Gentile la sua più alta elaborazione.

Il tentativo di congiungere il fascismo al Risorgimento fu opera di Gentile sul piano filosofico e di Volpe sul piano storico.

Da questo preambolo emerge come l’assassinio di Gentile fu un atto ingiusto, vigliacco.

Sì, ribadisco, raforzo; l’assassinio di Gentile fu una carognata, ingiusta e vigliacca,

La morte di Gentile non fu dettaa in quanto fascista intransigente, ma al contrario perché mirava all'accordo, sollecitava fascisti e antifascisti a sentirsi prima di tutto italiani e uniti nella tragedia della guerra.

Tale concezione non gli fu perdonata: non piaceva, dunque ai fascisti fanatici e spiazzava gli antifascisti feroci, in larga parte di estrazione comunista.

In tal proposio un profondo conosctore di tale periodo storico: Renzo De Felice distinse tra fascismo-movimento, radicale e rivoluzionario, e fascismo-regime, conservatore e autoritario.

Penso esista anche un fascismo-partito: ciè una visione militante e partigiana del movimento; ed un fascismo-nazione che pensava al fascismo come al braccio laico dell’Italia, nel senso che nella Nazione esiste il compimento dell’Italia nel Novecento.

A questa idea del fascismo-nazione aderirono numerosi Intellettali fre i quali spiccano Gentile, Rocco, Volpe e altri. Da ciò anche la difficile esperienza della Repubblica sociale fu per loro una necessità storica, non l'esaltazione del movimento. Gentile vi aderì per coerenza col suo passato, Volpe si tenne in disparte, Rocco era già morto.

Tutto il pensiero di Gentile era percorso dall’idea di unità, identità, comunità e non da quello di fazione e guerra civile.

Pe spegae l'efferato delitto bisogna considerare cosa poteva indirizzare il pensiero dei capi delle bande partigiane: la logica del tanto peggio tanto meglio. Quindi le brutalità naziste potevano servire a generare un clima di odio verso i medesimi e i loro alleati fascisti, per cui legittimare la lotta antifascista, la guerra rivoluzionaria e le vendette più atroci.

Anche l'avvenimeno contingente: la fucilazione per rappresaglia di cinque militanti comunisti già detenuti nelle carceri episodio dal quale nsceranno le prime minacce di morte al filosofo, può essere interpretato sostanzanzialmente come una decisione eclatante, ma vigliacca.

Più facile ccidere un uomo inerme in auto che compiere una impresa coragiosa ma pericolosa come lo smiamento dei ponti di Firenze.

Un pensiero agli intellettuali italiani. considerati opportunisti, vigliacchi e servili ma è giusto se ci riferiamo alle seconde file.

I grandi intellettuali italiani del Novecento furono coerenti e pagarono lper le loro idee di persona. Ensiamo a Gentile, Gobetti, Gramsci, Martinetti, Soffici, Bonaiuti, Ducati, Volpe. Alcuni furono uccisi, altri pagarono con l’emarginazione, l’esilio, la perdita delle loro cattedre.

Croce non patì per il suo antifascismo ma fu comunque sorvegliato e minacciato.

Il vero errore degli intellettuali civili italiani fu che credettero alla coincidenza di cultura e politica, e così restarono prigionieri del loro sogno come lo stesso Gentile o nell'altro versante Gramsci.


-Ecco allegato un estratto dell'articolo di Gentile sulla fulazione dei cinque prigionieri nel dicembre 1943, apparso sul Corriere della Sera e initolato Ricostruire

« ....Quindi la funzione essenziale della cultura che è certo, scienza e genio, ma è tradizione; e come coscienza profonda di questa, unità fondamentale comune, bisogno di concordia degli animi, rinvio di tutto quello che può divenire, cessazione delle lotte, tranne quella vitale contro i sobillatori, i traditori, venduti o in buona fede, ma sadicamente ebbri di sterminio. I fascisti hanno preso, come ne avevano il dovere, l'iniziativa della riscossa, e perciò essi per primi devono dare l'esempio di saper gettare nel fuoco ogni spirito di vendetta e di fazione, e mettere al di sopra dello stesso Partito costantemente la Patria. E se il Partito, nella sua organizzazione nazionale, alla dipendenza dei Capi nelle provincie, ha in mano, come organo dello Stato, la responsabilità del potere, egli deve ricordarsi che la sua funzione delicatissima va esercitata più che mai con largo spirito pacificatore e costruttivo....Colpire ovunque il meno possibile; andare incontro alle masse per conquistarne la fiducia e richiamarle alla coscienza del comune dovere. »

venerdì 3 dicembre 2010

"De Wikileaks"


penso che Assange, colle sue operazioni, sia riuscito a far convergere USA e Cina sulla possibilità della libera circolazione delle informazioni che deve essere fermata.Si tratta rispettivamente della nazione che rappresenta il top del mondo occidentale e dall'altra parte uno stato che massima espressione del modo di veivere "orientale" con tutte le sue contraddizioni.

Il massimo delle contraddizioni odierne lo leggiamo nel mandato d'arresto internazionale spiccato contro Assange dall' Interpol sulla base di alcune denunce di violenza sessuale.Certamente per fare intervenire l'Interpol per una denuncia non suffragata da fatti e anche limitata (Svezia) sembra evidente che possa esservi qualcosa nell'ombra.

Due livelli di informazione, uno "chiaro" ed uno "criptico" nell'epoca attuale è difficile da mantenere. Internet sovrappone tutta la mole di notizie, rendendo difficile avere una totale segretezza.

Finchè le nostre costituzioni garantiscono la libera espressione d'opinione e lalibertà di stampa si ha il diritto di diffondere informazione.una società a divenire questa libera circolazione incrementata dall'ausilio informatico è da tebere sempre a mente. Se no adottare un regime di diffusione di notizia stile cinese, dove tutto è filtrato.

E' ovvio che Wikileaks è solo l'apicale manifestarsi di un radicato problema.

Ma si deve riflettere sul problema. Non sulle informazioni in se.