domenica 12 dicembre 2010

un pensiero sulla morte di Gentile


Gentile non era fascista, il suo pensiero si era concluso prima che nascesse il fascismo: l’arco della sua teoria è già completato coll'esperienza della prima guerra mondiale.

La sua formazione politica fu d''ispirazione risorgimentale, percorsa da un’idea della politica come religione civile e dello Stato come valore etico super partes, con le pericolose controindicazioni assolutiste, divenute note.

La sua riforma della scuola non fu la più fascista delle riforme, lo disse personalmente Mussolini, ma una grande riforma umanistica di idealismo didattico, percorsa da amor patrio. La sua “Enciclopedia” fu aperta a tutti gli intellettuali anche quelli antifascisti.

La sua adesione al fascismo fu una conseguenza, si porebbe dire; l'archetipo dello Stato nel fascismo ebbe in lui il teorico più forte; come la filosofia della guerra ebbe in Gentile la sua più alta elaborazione.

Il tentativo di congiungere il fascismo al Risorgimento fu opera di Gentile sul piano filosofico e di Volpe sul piano storico.

Da questo preambolo emerge come l’assassinio di Gentile fu un atto ingiusto, vigliacco.

Sì, ribadisco, raforzo; l’assassinio di Gentile fu una carognata, ingiusta e vigliacca,

La morte di Gentile non fu dettaa in quanto fascista intransigente, ma al contrario perché mirava all'accordo, sollecitava fascisti e antifascisti a sentirsi prima di tutto italiani e uniti nella tragedia della guerra.

Tale concezione non gli fu perdonata: non piaceva, dunque ai fascisti fanatici e spiazzava gli antifascisti feroci, in larga parte di estrazione comunista.

In tal proposio un profondo conosctore di tale periodo storico: Renzo De Felice distinse tra fascismo-movimento, radicale e rivoluzionario, e fascismo-regime, conservatore e autoritario.

Penso esista anche un fascismo-partito: ciè una visione militante e partigiana del movimento; ed un fascismo-nazione che pensava al fascismo come al braccio laico dell’Italia, nel senso che nella Nazione esiste il compimento dell’Italia nel Novecento.

A questa idea del fascismo-nazione aderirono numerosi Intellettali fre i quali spiccano Gentile, Rocco, Volpe e altri. Da ciò anche la difficile esperienza della Repubblica sociale fu per loro una necessità storica, non l'esaltazione del movimento. Gentile vi aderì per coerenza col suo passato, Volpe si tenne in disparte, Rocco era già morto.

Tutto il pensiero di Gentile era percorso dall’idea di unità, identità, comunità e non da quello di fazione e guerra civile.

Pe spegae l'efferato delitto bisogna considerare cosa poteva indirizzare il pensiero dei capi delle bande partigiane: la logica del tanto peggio tanto meglio. Quindi le brutalità naziste potevano servire a generare un clima di odio verso i medesimi e i loro alleati fascisti, per cui legittimare la lotta antifascista, la guerra rivoluzionaria e le vendette più atroci.

Anche l'avvenimeno contingente: la fucilazione per rappresaglia di cinque militanti comunisti già detenuti nelle carceri episodio dal quale nsceranno le prime minacce di morte al filosofo, può essere interpretato sostanzanzialmente come una decisione eclatante, ma vigliacca.

Più facile ccidere un uomo inerme in auto che compiere una impresa coragiosa ma pericolosa come lo smiamento dei ponti di Firenze.

Un pensiero agli intellettuali italiani. considerati opportunisti, vigliacchi e servili ma è giusto se ci riferiamo alle seconde file.

I grandi intellettuali italiani del Novecento furono coerenti e pagarono lper le loro idee di persona. Ensiamo a Gentile, Gobetti, Gramsci, Martinetti, Soffici, Bonaiuti, Ducati, Volpe. Alcuni furono uccisi, altri pagarono con l’emarginazione, l’esilio, la perdita delle loro cattedre.

Croce non patì per il suo antifascismo ma fu comunque sorvegliato e minacciato.

Il vero errore degli intellettuali civili italiani fu che credettero alla coincidenza di cultura e politica, e così restarono prigionieri del loro sogno come lo stesso Gentile o nell'altro versante Gramsci.


-Ecco allegato un estratto dell'articolo di Gentile sulla fulazione dei cinque prigionieri nel dicembre 1943, apparso sul Corriere della Sera e initolato Ricostruire

« ....Quindi la funzione essenziale della cultura che è certo, scienza e genio, ma è tradizione; e come coscienza profonda di questa, unità fondamentale comune, bisogno di concordia degli animi, rinvio di tutto quello che può divenire, cessazione delle lotte, tranne quella vitale contro i sobillatori, i traditori, venduti o in buona fede, ma sadicamente ebbri di sterminio. I fascisti hanno preso, come ne avevano il dovere, l'iniziativa della riscossa, e perciò essi per primi devono dare l'esempio di saper gettare nel fuoco ogni spirito di vendetta e di fazione, e mettere al di sopra dello stesso Partito costantemente la Patria. E se il Partito, nella sua organizzazione nazionale, alla dipendenza dei Capi nelle provincie, ha in mano, come organo dello Stato, la responsabilità del potere, egli deve ricordarsi che la sua funzione delicatissima va esercitata più che mai con largo spirito pacificatore e costruttivo....Colpire ovunque il meno possibile; andare incontro alle masse per conquistarne la fiducia e richiamarle alla coscienza del comune dovere. »

Nessun commento:

Posta un commento