martedì 21 dicembre 2010

Luna fecondità e rituali associati


Profittando della simbolica data odierna del Solstizio d'Inverno un richiamo del mondo arcaico che non dovremmo mai dimenticare.


Quando il Sole tramonta, la Luna richiama l'attenzione con il suo candore e le sue macchie.
La Luna riflette verso di noi la luce del Sole, ma la riflette in misura diversa a seconda che la regione colpita sia montagnosa o piatta. Si potrebbe pensare che le zone piatte riflettano più intensamente, quasi fossero degli specchi, ma non è così: le zone piatte appaiono simili a macchie, sono i “mari” di Galileo, e sono costituiti da rocce laviche scure, che assorbono la maggior parte della luce solare, riflettendone soltanto una minima porzione (il 7%). Le regioni montagnose, invece, hanno una composizione petrografica diversa, più chiara, due o tre volte più riflettente.
Nella cultura occidentale ciò che ci porta più indietro nel tempo alla scoperta della Luna è quasi certamente il nome stesso che diamo al nostro satellite. La parola Luna deriva dall'antichissima radice indoeuropea “leuk”, che significa “splendere” ed è passata nel greco “leucos”, lucente, chiaro, bianco (pensiamo ai leucociti, i globuli bianchi), e poi nel latino “lux”, “luceo”, “lumen”. Luna sta quindi per “la luminosa”.
A noi però la parola giunge attraverso la mediazione della mitologia.
A Efeso il satellite, divinizzato come dea della fecondità dotata di cento mammelle, veniva adorata con il nome di Diana o di Lucina. Dalla sincope di Lucina è derivato il nostro Luna. Analoga l'origine del nome greco della Luna: Selene. Deriva da “selas”, che significa splendore, fiamma.
Uno dei fenomeni più evidenti che riguarda la Luna sono le fasi lunari, le quali sono dovute alle varie posizioni che il nostro satellite assume rispetto alla Terra e rispetto al Sole; le fasi lunari si succedono ogni mese via-via che la Luna orbita intorno alla Terra; vediamo così differenti percentuali del suo lato illuminato. Siccome il corpo era evidentemente sempre lo stesso, alcuni popoli spiegarono i vari mutamenti (Luna piena, falce di Luna, Luna oscura) con volti diversi della stessa divinità. Ad esempio nell'antica Grecia in cui Ecate era rappresentata con tre teste, una di leone, una di cavallo ed infine una di cane.
La Dea Madre era la divinità della maternità e dell’amore; d’origine orientale (Mesopotamia) essa era venerata in tutto il bacino mediterraneo, identificata forse con la Luna, considerata simbolo della fertilità e della rigenerazione della vita, questa Dea rappresentava la logica espressione spirituale di un popolo ancorato ad una struttura sociale di tipo matriarcale, la cui sopravvivenza era legata ai cicli dell’anno agricolo.
La Luna è stata al centro di ogni mitologia fin dagli albori del tempo e la sua importanza è legata soprattutto ai mutamenti periodici del suo aspetto.
L'azione della Luna sul mondo animale è dimostrata soprattutto nel caso di alcune specie di animali marini la cui maturità sessuale risulta collegata alle maree e alla luce lunare.
Nel Ceratocephale osawai, un nereide comune nei mari del Giappone, la fecondazione avviene di solito durante il plenilunio ed il novilunio. Le uova di un anellide, l'Amphitrite ornata, maturano durante il plenilunio di giugno, luglio e agosto. La Convoluta roscoffensis si feconda durante le maree del novilunio di primavera.

Associato alla Dea Madre, era, talora, rappresentato anche il suo omologo, il Dio maschio identificato con il toro, raffigurato semplicemente da un menhir la cui sommità appare leggermente appuntita e segnata da una scanalatura, a simboleggiare il fallo. Intorno a queste pietre si crede si riunissero le donne per compiere rituali, che avevano lo scopo di propiziare la fecondità.
Le pietre infitte, recanti segni femminili o maschili si trovano spesso accoppiate si accompagnano a monumenti religiosi o funerari; la coppia divina, infatti, doveva caratterizzare la sacralità del luogo, ergendosi quale simbolo di custodia e protezione.
L’idea era semplice, nell’immaginario popolare la pietra era considerata il priapos primordiale, l’elemento fallico maschile che, infisso nella terra, la rende fertile. In una visione microcosmica il primitivo immagina che, come il dio maschile rende fertile la terra attraverso la roccia, lo stesso poteva accadere per le donne del paese che, strisciando sopra questi sacri massi, si assicuravano la fertilità e la capacità procreativa. Esempi di questo tipo li troviamo a Plodio, in provincia di Savona e Borzoli, nei pressi di Genova ove ancora oggi si parla di antiche pratiche legate alla “Pria Scugiente”, una roccia di serpentino, conosciuta anche con il nome di “pietra lubraca”, ove le donne solevano strisciare per garantirsi un buon parto.

Tra i siti legati ai rituali di fertilità ricordiamo il circolo litico della “Grotta delle Fate” (Finale Ligure) da dove, attraverso una scala scavata nella roccia, si raggiunge questo sacro recinto proprio posto sulla verticale dell’antro. Il circolo litico, purtroppo oramai perso, poteva così essere utilizzato per rituali di fertilità, un enorme “cerchio”, disegnato da pietre infisse nel terreno, e un corridoio che ricorderebbe le vie della fertilità per raggiungere il circolare utero della dea, reso verosimilmente fertile da un elemento fallico centrale, verosimilmente un menhir.
Troviamo così traccia nel folklore locale di quella tradizione italiana delle “pocce lattaie” o “latte di grotta”, il liquido lattescente che, a causa dell’alto contenuto di carbonato di calcio, è estremamente simile al siero mammario femminile. Se dunque l’acqua macrocosmicamente è il sacro liquido della Mater che garantisce la fertilità, diventa di estrema importanza raccoglierla in piccole conche rituali che potremmo definire “Coppelle”. In moltissime aree neolitiche liguri sono state così ritrovate pietre con strane incisioni cuppelliformi o a forma di “U”, una rappresentazione schematica del toro, animale totemico della dea, come sul Promontorio del Caprione, sul monte Beigua o a Monte Matto. Su quest’ultimo moltissimi sono stati i ritrovamenti di massi a forma di losanga, geometria non casuale ma messa proprio in relazione all’organo genitale femminile, con sopra incise proprio delle piccole coppe, che sottolineerebbero l’idea esposta.Se così la pietra rappresenta la figura femminile, l’incisione centrale è simbolo di prosperità, più essa è ricca dell’acqua che in essa si accumula e più è sacra e la coppella posta al centro della roccia indicherebbe così la “gravidanza” della mater. Il Mito ha origine, trasformazione ed adeguamento ai tempi ed alle regole religiose attuali, ma contiene e resta sempre un segno della natura pagana iniziale.
Ricordi di riti per la fertilità con espilicito richiamo all’accoppiamento o agli organi genitali esistono ovunque. Riti che, poi, il cristianesimo non ha abolito, ma modificata e castigata, con l’attribuzione di capacità miracolose a quei ceri simbolici e imponenti, ai quali gli antichi avevano attribuito capacità eccezionali di fertilizzazione e fecondazione della Madre Terra. Appare superfluo evidenziare che queste feste votive maturarono in seno a quei ceti sociali agricoli, che più degli altri hanno “incorporato” e mantenuto le tradizioni arcaiche, nei quali il “fallo” non era visto soltanto come organo di riproduzione, ma soprattutto come simbolo di fecondità e di fertilità della Gran Madre Terra e costituiva il migliore “ex voto” da promettere e donare alla divinità per “grazia ricevuta”. Fu così che l’ostentazione di quell’organo umano, che evidentemente appariva osceno soltanto alla religione cristiana, si trasformò in giglio, in cero, in candeliere, etc, cercando attraverso la diversità, di sfuggire alla persecuzione del cristianesimo.

2 commenti:

  1. Dunque anche il luogo comune che il parto avvenga più spesso con la Luna nuova, probabilmente deriva anch'esso da questi riti atavici.


    P.S. L'ultimo paragrafo dell'articolo è un refuso.

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