sabato 30 gennaio 2010

Termini Imerese vittima del sistema Italia


Non se lo ricorda più nessuno. Ma c’è stato un momento in cui, per lo stabilimento Fiat di Termini Imerese, pareva aprirsi una nuova prospettiva, capace di alimentare fondate speranze sul suo futuro. Quando al termine di un incontro incontro svoltosi a Palazzo Chigi nel 19 febbraio del 2007, la Fiat prospettò, di fronte i sindacati, e il Governo Prodi una produzione di 500mila autovetture in più entro il 2010”. In quell’occasione, l’Azienda parlò anche dell’arrivo dei suoi nuovi modelli, “previsti per metà 2008”[1].
Il ministero del Lavoro si impegnò, ad aprire al più presto, presso la Presidenza del Consiglio, “un tavolo di confronto ad hoc”, mirato “non solo alla continuità, ma anche al rilancio” dello stabilimento siciliano. Infatti, il progetto era quello di trasformare Termini Imerese da impianto di assemblaggio a centro di costruzione di autovetture.
In tale progetto l’organico avrebbe dovuto quasi raddoppiare, passando dagli oltre 2mila addetti a più di 4.500.Non più tardi di tre anni fa, dunque, la Fiat già passata sotto la guida di Sergio Marchionne, riteneva possibile dare un futuro alla fabbrica di Termini Imerese. Il 14 gennaio 2009, invece, intervenendo a Detroit all’Automotive News World Congress, lo stesso Marchionne ha affermato che la decisione di chiudere lo stabilimento siciliano è “irreversibile perché tale stabilimento non sarebbe in grado di competere”[2].
Cosa è successo, nel giro di tre anni, per causare questa totale inversione di rotta?
La prima risposta che viene alla mente è ovvia: la crisi.
Ma le cose, in realtà, sono più complesse. È vero, infatti, che la crisi globale è scoppiata proprio nel 2008 e che la presentazione del piano industriale, prevista per giugno-luglio di quell’anno, fu poi rinviata dalla Fiat per 12 mesi, fino al luglio 2009. Ma il punto non è questo. Il fatto è che la nuova Fiat globalizzata ha via, via cambiato idea sui suoi assetti produttivi. Innanzitutto, non ha sviluppato a Termini alcuna produzione di componentistica, ed è questo, e non un’ipotetica lontananza, ciò che rende più costoso assemblare un’auto in questo stabilimento piuttosto che in un altro. In secondo luogo, il Mediterraneo è probabilmente considerato come un’area non strategica. La cosiddetta insufficiente produttività di Termini Imerese non è dunque un dato oggettivo. È il prodotto di discutibili scelte industriali.

Alla FIAT che ritiene siano troppi 6 stabilimenti in Italia e considera troppo costoso produrre in un impianto come quello di Termini Imerese, in oltre l’Italia è sede di una grossolana anomalia costituita dal fatto di produrre meno auto di quante non se ne immatricolino.
Una classe politica che si rifiuta di prendere atto del fatto che un settore industriale come quello dell’automobile non avrà più la possibilità di essere trainante per l’economia. In quanto deve fare i conti, oltre che con gli effetti della globalizzazione, anche con la sempre più progressiva saturazione del mercato, basti pensare che oggi in Italia circolano oltre 35 milioni di autovetture.
Una classe politica totalmente incapace di rompere i ponti con il passato e comprendere la necessità d’indirizzare gli investimenti in quei settori che presentano ampi spazi di mercato e a parità di produzione riducono il consumo di risorse.
Settori come quello della produzione e distribuzione dell’energia, della ristrutturazione degli edifici secondo criteri di basso assorbimento energetico, della riqualificazione del territorio, del riuso, riutilizzo e riciclo dei rifiuti. Settori che se fossero oggetto di quegli investimenti che fino ad oggi sono stati indirizzati a sostenere colossi industriali (FIAT in testa) attenti solo ai propri interessi, avrebbero le potenzialità per superare sia gli aspetti economici ed occupazionali, sia gli aspetti ambientali della crisi, costituendo in prospettiva un vero e proprio salto di qualità.
La classe politica intera, come abbiamo potuto leggere, è passivo di fronte alle “pretese” ai “capricci” di una imprenditorialità volta a conservare i privilegi acquisiti, senza avere la forza di esercitare una presa di posizione energica e motivata, dall’altro risulta disarmante l’assoluta mancanza di strategie volte a costruire un’alternativa all’attuale modello industriale, palesata da parte di tutta la classe politica italiana.
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[1] Rassegna sindacale 22- 28 febbraio 2007
[2] http://www.ecodisicilia.com/termini-imerese-pa-marchionne-sulla-chiusura-dello-stabilimento-e-irreversibile.htm

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